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Invocazione nella lingua Originale degli Dei

2022-11-14 23:54

Monica Benedetti

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Invocazione nella lingua Originale degli Dei

Un'antica invocazione ancora oggi recitata. La sua storia ci suggerisce che i caratteri con cui è trascritta siano riconducibili alla lingua parlata dagli Dei.

Molte delle cerimonie sciamaniche originarie, venivano recitate in una lingua sconosciuta, tramandata da sciamano a sciamano e della quale, oggi, non si conosce né origine né traduzione.

 

Quello che riporto di seguito è un frammento di un' antica invocazione, ancora recitata con le parole originali, nel tempio Ejen Qoryi-a che, letteralmente, significa “Recinto del Signore”.

 

Il tempio è un mausoleo dedicato a Chinggis Khan in cui sono custodite, pare, alcune reliquie della sua famiglia. Non le sue spoglie che si trovano, dice la storia, in un luogo segreto non ancora scoperto. Il mausoleo si trova nella regione di Ordos, attualmente sotto il governo cinese ed è custodito da 7 dardaq.

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Ho cercato di trovare il significato di questa parola ma non ho trovato altro che una traduzione dall'azerbaigiano, in cui pare significhi “noi” ma non trovando attinenza con la funzione dei custodi di un mausoleo così importante, ho cercato notizie riguardanti il numero sette e l'antica tradizione turco – mongola, dato che il Grande Khan era un Figlio dell'Eterno Azzurro, quel Tengri divinità antenata dell'odierno Islam sufista.

 

Ho trovato una leggenda che potrebbe essere la spiegazione del misterioso termine con cui vengono designati i custodi delle reliquie di Chingiss Khan.

 

Tale antica leggenda, riportata anche nel Corano, narra di sette giovani, chiamati “i sette dormienti di Efeso”, per sfuggire alla persecuzione e all'arresto poiché si rifiutavano di adorare divinità pagane, si nascosero in una grotta, sul monte Celion. Uno di loro, travestito da mendicante, ogni giorno usciva e andava a cercare cibo per sé e per i suoi compagni. Ma accadde che vennero scoperti e la grotta murata con loro all'interno. Secondo il Corano, rimasero nella grotta per “trecento anni ai quali ne aggiunsero nove” e vennero svegliati dal rumore di alcuni pastori che stavano costruendo un recinto per le loro greggi.

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Ritengo interessante questa ipotesi di correlazione con i 7 dardaq, pur non essendo riuscita a trovare l'esatta traduzione della parola, per l'associazione con i dormienti che, al pari dell'eroe nazionale della Mongolia, vissero in un luogo segreto per oltre trecento anni.

 

Come a voler significare che un giorno, dal luogo segreto e mai trovato in cui riposa, il Khan si sveglierà e tornerà al suo popolo.

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Tornando alla scoperta degli inni, accadde nel 1954 e fu il famoso linguista mongolo Junshuobu Bjambijn Rinchen che ottenne dal più anziano dei dardaq, un certo Ayur, la possibilità non solo di visionare ma anche di copiare dodici inni riservati al culto del Khan.

 

Rinchen disse che Ayur sosteneva essere scritti nella lingua tngri – ner – un kele, la lingua degli Dei.

 

Scrive Rinchen che “non è mongolo, né cinese, manciù, tibetano o turco”. A tutt'oggi non sono stati ancora decifrati.

 

Tali inni furono cantati dal dardaq Ayur a Rinchen, sulla porta del tempio, contravvenendo ad un divieto e anche questo rimane un mistero.

 

L'inno che segue è intitolato Yeke Mongol (Il Grande Mongolo)

 

E' alalù, è alalù, è alalù

Hu hai jexȕi alarluhai,

Jexȕijù juhàηjù jé la,

Juhai alarlalai haisùjù,

Jexȕij iliyà uhuan é alarlohai,

Elelì iliyà ililì jo huan,

òhai ahùlù jailì juhai,

Ulurlai sijù jélì jùhai,

Olorlalai sijù jélì jùhai,

Olorlalai sijù jéxùijù,

Ju uhuan é olorlohoi,

E' olorlohoi ililì iliyà,

Ahùlù ulurlahai ilerì iliyà!

 

Come avete potuto vedere è davvero particolare. Esistono assonanze tra alcune parole scritte nell'inno e altre esistenti nelle diverse lingue che ha indagato Rinchen ma la traduzione, con le attuali conoscenze linguistiche, è ancora lontana.

 

Mi sovviene che questo inno somiglia un po' alle particolari cadenze che utilizzano i nativi americani nei loro canti e, ancora, gli antichi brebus nuragici che venivano recitati in una lingua tramandata da babbai mannu a babbai mannu, pur avendone perduto la traduzione originaria.

 

Ci siamo allontanati così tanto dalle nostre radici da dover riflettere a lungo per capire quanto questa lontananza ci divide dalla sorgente di noi stessi...

 

Grazie

 

Monica

 

 

 

Fonti

 

L' inno è presente nel saggio “Testi dello sciamanesimo siberiano e centro asiatico” a cura di Ugo Marazzi (Ed. UTET)

 

Rinchen: https://eo-m-wikipedia-org.translate.goog/wiki/Rin%C4%89en_Y%C3%B6ngsiyebu_Bjambyn?_x_tr_sl=eo&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc

 

 

Leggenda dei sette dormienti: https://myamazighen.wordpress.com/2008/10/28/simbologia-del-numero-7/