Acambaro è una cittadina messicana del Guanajuato, anticamente abitata dai Chupicuaro (800 a.C.-200 d.C.) e a seguire dai Tarasca.
La zona, pur essendo indubbiamente interessante dal punto di vista archeologico, non è stata quasi mai interessata da campagne continue di scavi.
Nel luglio 1944 il commerciante di ferramenta Waldemar Julsrud, appassionato di archeologia, durante scavi non autorizzati nei pressi del monte El Toro (alla periferia di Acambaro) rinvenne delle statuette d’argilla e pietra di varie dimensioni, da pochi centimetri a qualche metro, che immortalavano diverse specie di animali estinti, tra cui moltissimi dinosauri. Inoltre, vi erano figurine che ritraevano strumenti musicali, idoli, maschere, utensili e, soprattutto, razze diverse di esseri umani (asiatici, africani, caucasici, mongoli e polinesiani).
Secondo i creazionisti potrebbero dimostrare la convivenza tra esseri umani e dinosauri, ma sappiamo bene che questi ultimi si estinsero sessantacinque milioni di anni fa.
Ogni figurina, essendo diversa dall’altra, esclude che gli artisti abbiano utilizzato degli stampi per realizzarle.
Tra quelle ritrovate a El Toro e a Mountain Chivo, furono più di trentamila i manufatti rinvenuti, oggi conservati al museo cittadino che prende il nome dal suo scopritore.
L’archeologo Charles Di Peso della Amerind Foundation, che esaminò per primo i manufatti, concluse che non erano autentici e che probabilmente erano stati realizzati dai contadini che abitavano nei dintorni. La sua relazione fu pubblicata sulla rivista American Antiquity.
Tra tante perplessità, Carlos Perea (l’allora responsabile della zona archeologica di Acambaro, per conto del Museo Nazionale di Antropologia di Città del Messico) giurò sulla bontà del ritrovamento. In fondo, statuette somiglianti erano state rinvenute anche in altre località.
Nel 1954 una squadra di quattro archeologi dell’INAH (Eduardo Noquera, Rafael Orellana, Ponciano Salazar, e Antonio Pompa), dopo aver ispezionato la raccolta di Julsrud, iniziarono degli scavi a El Toro, in zona non ancora sottoposta a ricerca; a circa due metri di profondità rinvennero alcune statuette simili, tanto che anche loro si convinsero dell’autenticità della scoperta di Julsrud.
Purtuttavia, tre settimane dopo, Noquera stilò un rapporto in cui sentenziava che
“… nonostante l'apparente legalità scientifica con la quale sono stati trovati questi oggetti, si tratta di un caso di riproduzione e falsificazione, realizzato in epoche relativamente recenti. A mio parere è composto da tre tipi di oggetti, tra cui figurine che riproducono animali estinti da milioni di anni; probabilmente il creatore di questi oggetti è stato ispirato da alcuni libri di paleontologia in voga alla fine del secolo scorso o all'inizio di quello attuale”.
(Alcune delle statuette ritrovate ad Acambaro)
L’anno dopo giunse ad Acambaro anche Charles Hapgood, professore di storia e antropologia all’University of New Hampshire, che rinvenne nuove statuine e nel 1968 ne fece analizzare qualcuna, che conteneva materiale organico, con il metodo della radiometria dall’Isotopes Incorporated del New Jersey; furono eseguite tre prove al radiocarbonio che rilasciarono datazioni tra il 4530 e il 1100 a.C. Inoltre, una ventina di questi reperti fu sottoposta a esami di termoluminescenza all’Università della Pennsylvania, con un risultato attestato al 2500 a.C. Com’era già capitato in precedenza, pure questi risultati furono poi ritrattati.
Anche il biologo naturalista Ivan Terence Sanderson ebbe modo in quegli anni di ispezionare la collezione Julsrud, meravigliandosi di trovare una statuetta che rappresentava con accuratezza il Brachiosaurus, un dinosauro americano che all’epoca era praticamente sconosciuto al grande pubblico.
Nello stesso periodo, nella zona di Acambaro, si rinvennero anche alcuni denti che il paleontologo George Gaylord Simpson riconobbe come quelli di Equus Conversidans Owen, un cavallo estinto durante l’ultima glaciazione.
(Equus Conversidans Owen - riproduzione)
È rilevante che tra le statuine di Julsrud ce ne siano due che corrispondono a questo quadrupede, oltre che essere riprodotto su vasi di ceramica.
Nel 1972 Arthur Young consegnò un paio di statuine al dottor Froelich Rainey, direttore del Museo della Pennsylvania, che le fece analizzare con il metodo della termoluminescenza al laboratorio Masca, ottenendo datazioni fino al 2700 a.C.
In una lettera del 13 settembre 1972 indirizzata a Young, Rainey scriveva che:
"... Dopo anni di sperimentazione, sia qui sia presso il laboratorio di Oxford, non abbiamo alcun dubbio circa l'affidabilità del metodo termoluminescente. Possiamo avere errori fino al 5-10% in datazione assoluta… Vorrei anche sottolineare che eravamo così preoccupati per le date straordinariamente antiche di queste figure, che Mark Han nel nostro laboratorio ha effettuato 18 prove su ognuno dei quattro campioni… Nel complesso il laboratorio si trova con queste date per il materiale di Julsrud, qualunque cosa questo significhi in termini di datazione archeologica in Messico…”.
Peccato che in seguito, probabilmente dopo aver saputo che c’erano anche dei dinosauri nella collezione, questo rapporto fu ritrattato e si affermò che la ceramica posta sotto esame aveva fornito una datazione di non più di trent’anni.
Vent’anni fa anche l’archeologo Neil Steedy s’interessò della faccenda. Le analisi col metodo del radiocarbonio che fece eseguire nel 1995 su alcune delle statuette della collezione di Julsrud, determinarono una datazione oscillante tra il 2000 a.C. e il 500 della nostra era. Anche lui, nonostante questa evidenza, sentenziò che i reperti, pur essendo autentici, provenivano da un sito in cui non c’era traccia di scavi precedenti: per il genere di materiale con cui erano composti, non avrebbero potuto conservarsi per così tanto tempo nel terreno.
Eppure i geologi ci raccontano che in questa zona, fino a seimila anni fa, c’era un lago contornato da boschi e foreste, ed è possibile che gli oggetti rinvenuti fossero sepolti nella sabbia.
Oggi il paesaggio si presenta arido e privo di vegetazione. Qualcuno ha fatto notare, fra l’altro, che la realizzazione di tutte quelle migliaia di statuette avrebbe richiesto grandi quantitativi di legna per la cottura della ceramica, e se fossero stati i contadini a realizzare i manufatti, con i falò avrebbero certamente attirato l’attenzione.
La determinatezza di Steedy nel voler a ogni costo negare l’autenticità delle statuette, per alcuni è un segnale chiaro di come l’ambiente accademico voglia ostacolare una scoperta che rivoluzionerebbe le nostre attuali conoscenze ma anche l’approccio stesso allo studio delle scienze.
Grazie
Simone
Simone Barcelli è un divulgatore di Storia antica, archeologia e mitologia.
Già webmaster del portale Tracce d'eternità è stato per anni curatore dell'omonima rivista digitale in download gratuito per gli utenti. Ha collaborato con Edizioni XII nella selezione di testi inediti. Collabora con Cerchio della Luna Editore per la scelta, l'editing e la realizzazione di titoli monografici per la serie "I Quaderni di Tracce".
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