Foto di Accursio Castrogiovanni http://www.caltabellotta.net/panorami/180/003.jpg...
Per stessa ammissione della gente di Caltabellotta (Ag) è stato sempre arduo rispondere alla domanda “Che cos’era e a cosa serviva il manufatto in pietra sulla rupe Gogàla?”.
Ma prima di dare risposta a quella domanda, bisognerebbe trovarne una per un altro quesito: come riuscire a formulare un’opinione concreta sulla funzione primigenia del manufatto se non si ha la minima idea di cosa si sta osservando, né si conosce nulla della cultura che lo ha prodotto e che sembra ormai inghiottita dal più profondo oblio?
L’osservazione è un’operazione selettiva, un procedimento di elaborazione finalizzato alla conoscenza. L’osservazione è lo strumento mentale con cui esaminiamo allo scopo di ottenere una visione (completa e dettagliata) dell’oggetto osservato così da poter esprimere un giudizio. Osservare però è un fatto culturale che rende improbabile, se non quasi impossibile, comprendere pienamente qualcosa che è totalmente al di fuori delle nostre conoscenze e che non assomiglia a nulla delle cose che ci sono familiari, qualcosa di cui non abbiamo nessuna consapevolezza.
In altre parole, quando osserviamo ciò che ci risulta sconosciuto, la nostra obbiettività è condizionata dal bagaglio culturale che ci appartiene, anche quando cerchiamo di mettere a frutto la nostra capacità intuitiva.
Chiarito questo, torniamo alla pietra intagliata di Caltabellotta dedicata a Kronos.
Uno studioso siciliano, Lino Saccà, sostiene che non è possibile paragonarla “a nessuna altra entità conosciuta”. Indubbiamente siamo di fronte ad un’opera dall’aspetto particolare e può persino sembrare unica se non si fa riferimento ad alcunché di affine con cui compararla. Allo stato attuale delle mie conoscenze, sembrerebbe che nessuno abbia pensato di mettere a confronto il manufatto della Gogàla con altri reperti dello stesso tipo, magari pensando che non esista nulla di simile.
Eppure, secondo me, esistono. Ne parleremo più avanti.
Saccà si chiede: “Perché nessuno la menziona? Per il suo scarso valore storico-etnico o per evitare di prendere un abbaglio?” A mio modestissimo parere l’opera non è di scarso valore storico-etnico, anzi esattamente il contrario.
Ma esporsi con un’ipotesi precisa fuori dagli schemi è un azzardo non da poco per gli accademici o per gli studiosi di un certo livello di notorietà. Più facile mantenersi nel campo, delle “certezze” facendola rientrare con vaghezza tra le più familiari are o tra gli altari, sebbene il reperto di Caltabellotta non abbia nessuna delle caratteristiche di quegli elementi.
Saccà, tuttavia, avanza un’opinione audace: “…quella che tutti chiamano ara votiva non è un altare, ma un trono regale”. Ammetto che l’ipotesi sia affascinante e per di più ci riavvicina al concetto di “sede fissa” già visto in precedenza proprio a proposito dell’etimologia del termine “ara”, sebbene la parola “trono” sia legata ad una radice indoeuropea del tutto diversa.
Indagando più a fondo, grazie ad un altro ricercatore, Luciano Rizzuti, vengo a conoscenza che “…La Gogàla è uno scrigno aperto che custodisce, quasi gelosamente, una grande quantità di opere che meriterebbero un attento studio. Il territorio è segnato da lavori di intaglio fatti nella roccia e non ci sono spazi che non presentino il segno della mano dell’uomo.”
Dunque, come supponevo fin dall’inizio, non si tratta di un manufatto isolato, ma del segno più evidente di una cultura che utilizzò l’intera area per scopi ben precisi. E penso anche che dovremmo cercare in epoche molto remote i “costruttori” che modellarono la pietra della Gogàla. Non per nulla la tradizione perpetua la “doppia scala” di Caltabellotta legandola al nome del Dio Kronos il cui culto è considerato pressoché all’unanimità d’origine preindoeuropea.
Caltabellotta – Crono/Kronos
In Sicilia, il culto di Kronos era praticato principalmente nell’area Ovest dell’isola (esattamente nell’area in cui Caltabellotta sorge).
Sul mito di Kronos (o Crono), le documentazioni classiche tramandano una narrazione complessa, varia, a volte discordante.
Riassumerò i punti salienti.
Crono era uno degli Dei precedenti a quelli olimpici, divinità antichissime di origine non greca. Alcune fonti dicono che i Greci nei loro confronti conservavano una timorosa deferenza, ma non ne professavano un vero e proprio culto. Crono, uno dei dodici Titani generati da Urano (Cielo) e Gea o Gaia (Terra), dopo aver evirato il padre con un falcetto (un harpe per l’esattezza) su richiesta accorata della madre, prese possesso del regno celeste insieme alla moglie Rea.
Temendo però di essere detronizzato dalla sua discendenza, Crono decise di divorare i figli appena partoriti da Rea.
Lei, stanca di perdere la propria prole, ingannò Crono consegnandogli una pietra del monte Lykaion da ingoiare al posto del neonato Zeus. Quest’ultimo, una volta cresciuto, effettivamente sconfisse e depose dal trono il padre relegandolo nel Tartaro.
Dopo un certo periodo però, Zeus perdonò Crono, si riappacificò con lui e lo pose come sovrano delle mitiche “Isole dei Beati”, sperdute nell’Oceano ai confini del mondo, sede dei giusti e degli eroi risparmiati dalla morte.
Rea consegna a Kronos una pietra al posto del neonato Zeus. Pelike di terracotta (vaso) attribuito al pittore Nausicaä - circa. 460-450 a.C. Conservato al The Met Fifth Avenue - New York (pubblico dominio)
Secondo un’altra versione del mito, dopo aver perso il trono celeste, Crono vagò per il mondo finché non approdò nel Lazio dove divenne re e fu identificato dai Latini col nome di Saturno.
Fu un Dio-sovrano benevolo e amichevole che insegnò agli uomini le tecniche per coltivare la terra.
Tale mito pare conservarsi nel termine latino sătŭs = il “seminare”, la “semina”. Durante il dominio di Saturno in Italia, sorsero imponenti città fortificate con mura poligonali (Alatri, Anagni, Arpino, Atina e Ferentino, le cinque “città saturnie”, tutte nell’attuale provincia di Frosinone) e il suo regno fu ricordato come un’epoca pacifica senza conflitti, di grande prosperità, priva di sacrifici cruenti e disparità sociali: la mitica Età dell’oro.
L’inspiegabile improvvisa scomparsa di Saturno portò ad un inesorabile declino. Fra gli attributi iconografici di Crono/Saturno troviamo l’aspetto vecchio e barbuto, il falcetto, il serpente, a volte il corvo, sebbene le immagini siano molto più recenti del mito. Fu considerato protettore dell’agricoltura e della fertilità, fu venerato come colui che ha il potere della rigenerazione.
Ma soprattutto il mito perpetua Crono/Saturno come “immagine del tempo” per la sua natura distruttiva poiché come il tempo distruggeva quello che aveva generato. Infatti, ciò che ha origine nel tempo, dal tempo stesso viene annientato in un ciclo continuo (scandito dal sorgere degli astri) che non giunge mai alla fine.
Per dovere d’informazione va detto, anche se il tema tra mito e filosofia solleva opinioni differenti, che i Greci distinguevano variamente il tempo.
In particolare:
Aion (Aἰών), la “forza vitale” intesa come “capacità di esistere illimitata” (Platone dice che “la sua natura è perpetua”);
Chrónos(Χρόνος), divinità tremenda dall’immenso potere, immagine autentica dell’Aion “la cui sapienza non perisce” (dice Proclo), è la concatenazione degli attimi, il tempo inteso come misura nella sua progressione cronologica;
Crono o Kronos (Κρόνος), il Titano, Dio del tempo “umano”, è l’auctor temporum, colui che “esegue” i cicli naturali sulla Terra.
Il primordiale Chronos, è cronologicamente antecedente a Crono/Kronos, ma fin dalla tarda antichità i due nomi furono equiparati, spesso persino sovrapposti. La confusione è dovuta alla paronimia, ossia alla relazione lessicale tra le due parole il cui valore non è identico, ma l’ortografia e soprattutto la pronuncia sono molto simili, creando fraintendimento durante la lettura, l’ascolto o la traduzione.
Far coincidere le due figure divine o ignorare completamente l’esistenza di Chronos, non è corretto sebbene un loro collegamento nella sostanza, sia innegabile. Sull’origine del nome Crono/Kronos non sembra esserci unanimità di vedute. L’etimo non è mai stato stabilito con certezza e tuttora rimane controverso. La stretta relazione con il “tempo” fa sì che proprio questo sia il senso quasi sempre associato al nome del Titano.
Non ci sarebbero però prove linguistiche incontrovertibili che motivino tale significato.
Per Adrian Room Crono è un nome d’origine pregreca, parere più che plausibile giacché della divinità stessa troviamo analogie in culture precedenti alla Grecia antica, per esempio, nella mitologia Hurrita (2500 a.C. - 1000 a.C) o in quella Vedica, cosa che permetterebbe di considerare un “punto di partenza” in epoche oltremodo remote (3000 a.C., 4500 a.C. o perfino più indietro, se si fa riferimento a determinate teorie).
Molte le alternative proposte per l’etimologia. Vediamone alcune cercando, alla fine, di decriptare l’idea originale cristallizzata in quel teonimo.
Albert Carnoy, facendo riferimento alla leggenda di Crono divoratore dei suoi figli, suggeriva che fosse “un nome ‘pelasgico’, derivato da g^erô = “inghiottire”.
È stata valutata una derivazione da κραίνω (kraino) che ha diversi significati: 1 – “compiere”, “adempiere”, “recare ad effetto”, “fare”, “eseguire”; 2 – “decidere”, “stabilire”; 3 – “governare”, “comandare”, “sovrastare”; 4 – “dominare”, “possedere”; 5 – “avere un risultato”, “finire”; di conseguenza Crono assumerebbe il valore di “capo”, “colui che guida”, “colui che compie (porta a termine) ciò che è iniziato”.
Ad una provenienza di Crono da κόρος (koros) = “saturazione”, “sazietà” si pensava già in tempi antichi. Cicerone per l’equivalente latino, infatti arguisce che “il nome Saturno deriva dal fatto che questo Dio è saturo di anni” (De natura deorum - II, 64) Le attestazioni portano alcuni linguisti contemporanei (Jean Haudry, Michael Janda, ad esempio) a ricondurre Crono alla radice indoeuropea *kar dal significato originario di “tagliare”.
Crono, quindi sarebbe “colui che taglia”. Sembra ovvia l’allusione alla “divisione” della “terra” (Gea) dal “cielo” (Urano) con l’amputazione dei genitali di quest’ultimo. Una delle possibili interpretazioni dell’allegoria di tale mutilazione, vede il “taglio” come l’azione cruciale che dà origine al Cosmo, l’ordine (Κόσμος, Kósmos), che genera il tempo e il mondo in cui viviamo. Ergo Crono, come afferma Macrobio, è “l’originatore dei tempi”.
A sostegno di ciò ricordo l’etimologia del latino “tempus” che secondo alcuni va ricondotta al greco temno (τέμνω) = “dividere”, “separare”, “sezionare”. Altri, partendo da un concetto di base analogo, collegano altresì l’etimologia di Crono a κρίσις (krìsis) = “scelta”, “decisione”, “fase decisiva” (specie di una malattia), derivato di κρίνω (kríno) “distinguere”, “giudicare”. Qualcuno considera anche un nesso con κρουνηδόν (krounidón) = “in abbondante flusso”, “in grande quantità” (riferito ai liquidi) con allusione alla pioggia che cade violenta e copiosa: Crono sarebbe perciò la “distillazione”, (la “separazione”) degli elementi che con la pioggia scendono “dall’alto” in grande abbondanza.
In senso cosmogonico, trovo interessante l’ipotesi di una derivazione di Crono da κρούειν (kroúein) = “percuotere”, “colpire”, “battere (ritmicamente)”, “pulsare”. Quest’ultimo valore, decisamente trascurato dagli etimologisti, è invece secondo me assolutamente coerente con la funzione di Crono: egli personifica l’energia iniziale che origina l’universo manifesto (e quindi il tempo) attraverso un movimento vibrazionale, una pulsazione.
Per completare questa panoramica etimologica, ritengo opportuno valutare un ultimo radicale, forse quello più interessante, che potrebbe essere alla base del nome di Crono/Kronos. Mi riferisco a *krn, una radice molto antica comune sia alle lingue semitiche che a quelle indoeuropee. Nell’indoeuropeo è individuabile anche nelle varianti ker, keȓ ə- da cui k̑rā-, k̑erei-, kereu ̑ - che stanno ad indicare “corno”, “testa”, “parte superiore del corpo”.
La radice *krn è collegata al greco kρατος (kratos) = “potere”, “forza”, “robustezza” (letteralmente una forza associata alla stasi). Di conseguenza, secondo Renée Guenon, Crono esprime in essenza le idee di “potenza” e di “elevazione” .
Per G. Valdès la radice è alla base di termini che “si riferiscono costantemente a una posizione elevata, avente relazione con il cielo e quindi con gli stati superiori dell’essere”.
Oltre a Kronos, *krn sembra in qualche modo concatenarsi con l’essenza di altre divinità dalle caratteristiche analoghe che si riallacciano al tempo, al decadimento e alla morte (le celtiche Crom Cruach e Kernunnus per esempio), nonché alla fecondità (come il Saturno latino e il norreno Freyr).
In sintesi, i motivi ricorrenti connessi al radicale *krn sono “sovranità e regalità associate al potere generativo, necessità di un sacrificio e promessa di una rinascita”. (M. Maculotti)
La radice *krn, non solo richiama l’Età aurea attraverso il nome del suo re Kronos (e anche a quello di Cormac, sovrano celtico dell’Età dell’oro), ma rievoca anche il ricongiungimento con la primigenia essenza geografica iperborea, la mitica terra all’estremo Nord dell’Europa, posta sotto la protezione di Apollo Karneios (karn = “polo” nel senso di regione geografica, quindi karneios = “polare”).
Inoltre, preannuncia la “regalità” (non per niente da *krn discende anche il temine “corona”) e “veste” la funzione sacerdotale di mediatore tra il primo "motore immobile” e il mondo creato soggetto al tempo.
C’è dell’altro però, ma prima è necessaria una breve premessa.
Nell’indoeuropeo i suoni e i segni grafici originali dell’alfabeto, presi singolarmente, non erano privi di significato. Al contrario le lettere avevano valori semantici ben precisi che venivano accostati seguendo ragionamenti e criteri rigorosi, cioè "mettendo insieme due o più idee-base rappresentate dai suoni delle consonanti e delle vocali, […] in modo da poter descrivere almeno uno dei caratteri essenziali dell’oggetto o dell’azione presentata.” (F.Rendich)
Chiarito questo, possiamo avventurarci ad approfondire analizzando ulteriormente *krn. Scomponendo la radice indoeuropea dunque avremo:
- kr che significa "agire", "dare forma", "preparare", "fare", "compiere", "creare";
- n che vuol dire "acqua".
L’idea alla base della radice *krn potrebbe quindi essere ricomposta nel concetto di dare forma [alla vita] tramite le acque. L’essenza dell’acqua, illimitata potenza generatrice, richiama il mito del fratello di Kronos, Ὠκεανός (Ōkeanós) = Oceano, che per Diodoro Siculo “circonda la terra”. Ma implicitamente allude soprattutto all’oscuro e umido ambiente in cui la vita si riproduce (il grembo materno, le profondità del terreno) rigenerandosi continuamente.
E possiamo andare ancora più a fondo.
La lettera K descrive la forma-funzione dell’Archetipo Kaf, in riferimento a quello che si può definire “l’Alfabeto del Pensiero”, e rappresenta la funzione pungente esprimendo significati che girano intorno al valore semantico di “punta”, sia nelle lingue indoeuropee, sia in quelle semitiche e persino nella lingua egizia. Individuando una serie di corrispondenze, Sesto Pompeo Festo, grammatico romano del II sec., arrivò a dedurre che in una antica lingua madre la consonante K doveva significare “stare in cima”, “essere a punta”, “curvatura”.
E a capire quindi che, nel partecipare alla formazione di un’azione verbale, la consonante K esprime un tipo di moto “che tende verso la punta”, “che si incurva”, "che avvolge.” (Rendich).
La lettera R rappresenta l’Archetipo Resh, la forma-funzione del perfezionamento. Nella lingua indoeuropea la R esprime un concetto di movimento, è "l’azione", "la crescita", "l’aumentare", "il prosperare". Perciò, raffinando ancora il concetto, è l’azione che modifica, che perfeziona, immagine che ritroviamo perfettamente riflessa nella parola sanscrita karman (karma) = “la forza del fare”.
Questo lungo percorso a ritroso nel tempo nei meandri del linguaggio, ci ha permesso di sondare i valori primordiali che Crono personifica. Considerandoli complessivamente, i significati presentati ci permettono intuire che nell’intenzione dell’uomo antico ci fu la necessità e la volontà di esprimere attraverso un teonimo, l’azione e i principi che furono alla base delle origini dell’Universo creato.
Gli stessi fondamenti che oggi, nella specializzazione tipica dell’evoluzione, si spiegano attraverso le moderne dettagliate discipline scientifiche.
Francisco Goya “Saturno devorando a un hijo” (particolare) - Museo Nacional del Prado (Madrid)
Grazie
Tiziana Pompili Casanova
Tiziana Pompili Casanova
Ricercatrice e scrittrice.
Ex speaker radiofonica e copywriter. Collabora con Biagio Russo e Paolo Navone alla gestione del gruppo Facebook “Viaggiatori dei Tempi”. Ha in cantiere diversi lavori editoriali (fra cui un romanzo e un saggio che presto saranno pubblicati) e altri progetti nel campo della ricerca storica.
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