E' la seconda vetta dell'isola di Pantelleria e, col suo enorme cratere, visto da lontano sembra un enorme teatro all'aperto. Sto parlando, naturalmente, del Monte Gibele, un centro vulcanico con estese colate trachitico-pantelleritiche risalenti a 29.000-35.000 anni fa. Mi sono sempre domandato perché gli avi hanno voluto dargli quel nome anziché chiamarlo, ad esempio, Monte Piccolo dato che la vetta più alta e, dunque, la più imponente dell'isola si chiama semplicemente Montagna Grande.
Naturalmente, essendo appellativo di provenienza araba, ho voluto sondarne il significato che, apparentemente, non ha nulla di particolarmente evocativo: Gibele significa, infatti, semplicemente monte o montagna.
G.Caracausi (Dizionario onomastico della Sicilia) documenta il lemma (I 720-721) la cui etimologia è dall' arabo gabal "monte".
Seppure anche Montagna Grande, a ben cercare, sembra aver avuto un nome differente durante il soggiorno arabo nell'isola. Essa era chiamata infatti Sciaghibir col significato di Casa o Dono grande di Dio (di Allah). (da L’ultima isola musulmana in Italia, Pantelleria (Bint al-riyāḥ) Giuseppe Staccioli )
Si fa largo nella mia mente una sorta di idea, fantasiosa se volete, ciononostante in linea con le numerose traslitterazioni linguistiche avvenute nel corso del tempo, tali per cui oggi è difficoltoso riuscire a dare il nome originario e, dunque, il senso del nome stesso, ai luoghi familiari e non.
Quell'idea associa spontaneamente, mutando una sola lettera ed anzi, solo togliendone un minuscolo segmento alla forma, sì che la G di Gibele diviene C trasformandosi in Cibele, la montagna ad una divinità del passato.
Controllo in rete e noto che indiversi siti, soprattutto in lingua inglese, il monte piccolo viene già appellato Cibele anziché Gibele e scopro anche che non muta il suo significato linguistico. Infatti Cibele (greco: Κυβέλη Kybelē; latino: Cibelis) dal frigio Matar Kubileya/Kubeleya, significa , forse, "Madre della Montagna"
e anche il “forse” diviene più certo quando leggo in una ricerca del prof. Pietro Nicolò che “ I Frigi la chiamavano Cibele. Sembra che ne derivassero il nome da una montagna omonima”.
Il mito legato alla figura di questa dea racconta che:
“Zeus fosse innamorato di Cibele e cercasse - invano - di unirsi alla dea. In una notte di incubi angosciosi, mentre Zeus la sognava ardentemente, il suo seme schizzò sulla pietra generando l'ermafrodito Agdistis. Questi era malvagio e violento e con continue prepotenze oltraggiò tutti gli dei. Dioniso, perciò, giunto all'esasperazione, volle vendicarsi e architettò ai suoi danni uno scherzo atroce: gli portò in dono del vino e lo accompagnò a bere in cima a un grande albero di melograno, finché Agdistis si addormentò ubriaco in bilico su un ramo.
Con una cordicella Dioniso gli legò i genitali al ramo e, sceso in terra, scosse l'albero con tutta la sua forza. Nel brusco risveglio il malcapitato precipitò, strappandosi di netto i genitali: così Agdistis morì dissanguato, mentre il suo sangue bagnava il melograno e lo faceva rifiorire rigoglioso e carico di succosi frutti.
La ninfa del Sangario, il fiume che scorreva nelle vicinanze, sfiorò con la sua pelle uno di quei frutti e rimase incinta di un dio: fu così generato Attis il bello, il grande amore di Cibele. Costei suonava la lira in onore di Attis e lo teneva perennemente occupato in voluttuosi amplessi. Ma, ingrato e irriconoscente, Attis volle abbandonare quelle gioie e fuggì per vagare sulla terra alla ricerca di un'altra donna.
Cibele sapeva bene che nessuna infedeltà di Attis sarebbe potuta sfuggire alla sua vista onnipotente e lo sorvegliava dall'alto sul suo carro trainato da leoni. Colse così Attis mentre giaceva spensieratamente con una donna terrena, convinto che le fronde di un alto pino fossero sufficienti a nascondere il suo tradimento. Vistosi scoperto, Attis fu assalito da un rimorso tormentoso e implacabile, finché all'ombra del pino si uccise.
Altre versioni del mito vogliono che Attis fosse direttamente figlio (oltre che amante) di Cibele, mentre la ninfa Sangaride fosse una sua amata durante il viaggio sulla terra. Durante il banchetto nuziale di Attis con la figlia del re di Pessinunte, l'ermafrodito Agdistis si sarebbe innamorato del giovane e - non essendo corrisposto - per vendetta lo fece impazzire, facendolo fuggire sui monti, dove si uccise evirandosi o gettandosi da una rupe. Ulteriori varianti dicono che Attis sia poi resuscitato, o che fu salvato da Cibele che lo afferrò per i capelli e poi lo trasformò in un pino non appena toccò il terreno.
La versione più conosciuta è comunque quella che vuole che Cibele abbia ottenuto solamente l'incorruttibilità del corpo di Attis.”
Ho volutamente trascritto il racconto che vede protagonista la divinità Cibele data la curiosa associazione simbolica presente al suo interno, che ben si accoppia ad uno dei prodotti migliori dell'isola: il vino.
E anche la terra di origine della dea Cibele, uno dei tanti nomi della Grande Madre antica, non è da escludere abbia risentito degli influssi migratori indoeuropei essendosi, il suo culto, diffuso in tutta l'area mediterranea ed essendo, il nome romanizzato, una prosecuzione del culto fenicio punico della Tanit Caelestis (Grande Madre)(https://www.treccani.it/enciclopedia/caelestis_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica%29/)
Tornando al nostro monte Gibele, esso assume in tal modo il significato attribuito ai luoghi in cui si manifestava agli uomini la divinità e diviene Montagna Sacra, al pari del greco monte Ida o dell'indiano monte Meru o del più conosciuto e citato monte Sinai, in cui YHWH si manifestò a Mosè.
E anche questa associazione la ritengo importante ma ci arriveremo tra un po'.
Assodato, mi pare, che i due termini di Gibele e Cibele possano avere la medesima origine e significato, ho tentato di ricostruirne l'origine possibile nell' etimo ed ho trovato un interessante documento, redatto da Ahmad Al Jallad (Autore del blog su Safaitic e altre iscrizioni arabe: https://safaitic.blogspot.com/. Ahmad Al-Jallad è specializzato nella storia, nella lingua e nelle culture dell'Arabia preislamica, la costruzione della Jāhiliyyah nelle fonti successive, l'epigrafia araba , la storia dell'arabo e la filologia semitica.) in lingua araba che tale idioma derivi da lingue semitiche.
Al Jallad è un esperto di lingua safaitica, una forma di alfabeto sud-semitico. Le popolazioni delle province romane d'Arabia più prossime al mar Mediterraneo non sembrano averla impiegata, dando da credere perciò che la lingua fosse parlata esclusivamente dai beduini berberi di quelle aree.
Mi sovviene, a tal proposito, un altro documento da cui si evince che diversi termini della toponomastica di Pantelleria derivano dal nome di tribù berbere insediate sull'isola.
Un parallelismo interessante e che apre nuove vie di collegamento alla comprensione della storia più antica dell'isola, di quando il suo nome era, forse, “Figlia del Vento”.
Giuseppe Staccioli, nel suo “L’ultima isola musulmana in Italia, Pantelleria (Bint al-riyāḥ)” considera infatti la traduzione araba di luoghi quali Benicuvedi cioè della tribù berbera di Huwedi o Benikulà, della tribù berbera di Kulà, ecc... donando credito agli studi del Jallad sul dialetto berbero safaitico disperso nel Mediterraneo.
Ricordando che lo stesso Jallad fa derivare tale idioma linguistico ad un ceppo semitico, mi pareva scontato rivolgermi ancora alla rete e cercare il significato del nome del nostro monte Gibele – Cibele, in lingua ebraica.
Il risultato è sorprendente e ne illustrerò le motivazioni. Baal Jah è il nome del Gibele – Cibele in lingua ebraica e, utilizzando una trasposizione linguistica sillabica molto nota ai linguisti, la metatesi, otteniamo che Baal Jah diventa Jah Baal e l'assonanza con l'arabo Gibele è più che legittima.
Sono numerosi, anche oggi, i nomi arabi maschili Jabal che significano monte o montagna a conferma che, arabo, semitico o frigio, il significato non cambia.
Ora, mi pare interessante notare che le due sillabe che compongono il nome Ja o Ya Baal, hanno una notevole attinenza con due noti epiteti biblici: Baal e Ya (wè).
Il nome Ya, nella Bibbia ebraica, si ripete per 26 volte e sta ad indicare sempre la divinità israelitica Yawè (YHWH). Baal è l'epiteto che sta ad indicare il Signore. Appare dunque logico interpretare il nome Ja (o Ya) Baal come “Signore Yhwh” o, seguendo il significato etimologico, “Montagna del Signore” o “Montagna Sacra” essendo dedicata ad una divinità.
C'è da dire, a supporto di questa tesi, che la Tanit – Astarte – Cibele, è numerose volte associata al nome di Baal, intendendone la consorte o il “volto del Signore” e, aggiungerei, il culto di Baal/Tanit sull'isola era ben conosciuto e praticato essendo le due divinità conosciute alle popolazioni fenicio - cartaginesi.
Quindi, se Baal è uno degli epiteti di Ya (we), del Signore della Montagna sacra, potremmo trovarci di fronte ad un altro dei luoghi frequentati dal biblico Dio e potrebbe, forse, la Montagna Grande anticamente intitolata alla Casa di Dio e il monte Gibele alla sua consorte/paredra Tanit – Cibele.
A sostegno di questa tesi ho trovato anche una ricerca attualissima e molto interessante effettuata dal prof. Gian Matteo Corrias, filologo umanista già conosciuto per le sue ricerche sulle divinità dell'antica Roma.
Ma di questo racconterò nel prossimo articolo.
Grazie per l'attenzione
Elìa
Fonti:
G. Caracausi: Dizionario onomastico della Sicilia
Giuseppe Staccioli: L'ultima isola musulmana in Italia, Pantelleria (Bint al Riah)
Pietro Nicolò: Da Cibele a Maometto
Metatesi: Trasposizione di fonemi all'interno di una parola